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La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha stabilito che è legittimo il licenziamento irrogato dall’ufficio competente in materia di procedimento disciplinare della sede presso cui il lavoratore è temporaneamente distaccato. Dalla lettura complessiva della normativa si evince chiaramente che il soggetto o l’ufficio competente deve essere individuato con riferimento al luogo presso cui il lavoratore sta prestando effettivamente la propria attività lavorativa al momento del procedimento disciplinare. In tal modo, da una parte è facilitato l’espletamento dell’indagine disciplinare e, dall’altra, è garantito il diritto alla difesa del lavoratore. La Cassazione ha così rigettato il ricorso proposto da un dipendente pubblico per illegittimità del licenziamento irrogatogli sulla base che la competenza spettasse al direttore della sede regionale per la quale era stato assunto.
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza in commento, ha stabilito che il c.d. superminimo, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell’assorbimento, nel senso che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a superiore qualifica, l’emolumento è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto, restando a carico del lavoratore l’onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, laddove gli sia stata attribuita la natura di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente.
La
Corte di Cassazione ha affermato un importante principio in tema di
cessione d'azienda. Posto il carattere retributivo e sinallagmatico del
TFR che costituisce istituto di retribuzione differita, il datore di
lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo
dipendente, il cui rapporto sia proseguito con il datore di lavoro
cessionario, per la quota di TFR maturata durante il periodo di lavoro
svolto fino al trasferimento aziendale; mentre il datore cessionario
è obbligato per la stessa quota solo in ragione del vincolo di
solidarietà, e resta l'unico obbligato quanto alla quota
maturata nel periodo successivo alla cessione. Ne consegue che il
lavoratore è legittimato a proporre istanza di fallimento del
datore di lavoro che abbia ceduto l'azienda, essendo creditore del
medesimo. Non va, poi, dimenticato che poiché il TFR è parte
della retribuzione che viene accantonata e diviene esigibile solo
all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, ne consegue che
potrà formare oggetto di domanda di ammissione al passivo del
fallimento soltanto al momento della cessazione del rapporto stesso.
Quando i crediti per competenze maturate e per TFR sono stati ammessi
al passivo, i dipendenti possono chiedere al fondo di garanzia
l’anticipazione di quanto vantato a titolo di TFR e relativi
accessori.
In
materia di licenziamento, la Corte di Cassazione ha affermato che il
termine di 30 giorni previsto dall’articolo 18 della Legge n.
300/1970, entro il quale il lavoratore deve esercitare l’opzione
tra la reintegra e l’indennità sostitutiva di quindici
mensilità, decorre dal momento in cui il lavoratore sia venuto a
conoscenza della sentenza del giudice, in quanto sono ammesse forme
equipollenti alla comunicazione formale della sentenza di reintegra.
Di conseguenza, afferma la Corte "ai fini del decorso del termine di
decadenza di cui all’art. 18, co. 5 stat.lav. per il pagamento
dell’indennità sostitutiva alla reintegra, assume
rilevanza la conoscenza – effettiva e completa – da parte
del lavoratore della sentenza di declaratoria di illegittimità
del licenziamento, a prescindere dalla comunicazione di avvenuto
deposito della stessa da parte della cancelleria".