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La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di infortunio, sussiste la responsabilità penale del datore di lavoro per lesioni colpose gravi subite dal lavoratore presente in un cantiere, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo stesse lavorando o stazionasse nel cantiere in un momento di pausa. I giudici della Suprema Corte hanno precisato come la violazione delle prescrizioni a tutela della sicurezza degli ambienti lavorativi, per il solo fatto che l’infortunio si sia realizzato all’interno del cantiere, resti attiva a prescindere dal fatto che il lavoratore stesse prestando attività lavorativa o fosse rimasto lì durante un periodo di riposo o pausa dal lavoro. E a nulla valgono tali elementi al fine di escludere la qualificabilità di infortunio sul lavoro a quello occorso alla persona offesa o comunque a scriminare la condotta colposa ascritta all’imputato.
La
Corte di Cassazione ha ribadito quali sono gli elementi univocamente
indicativi della subordinazione che, al di là del nomen juris
indicato dalle parti, devono essere presi in considerazione per
inquadrare il rapporto di lavoro.
Indici di subordinazione
- retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa;
- orario di lavoro fisso e continuativo;
- continuità della prestazione in
funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le
esigenze aziendali;
- vincolo di soggezione personale del lavoratore
al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro,
con conseguente limitazione della sua autonomia;
- l’inserimento nell’organizzazione aziendale.
I suesposti indici devono, comunque, essere valutati
integralmente al fine di sostanziare la prova della subordinazione.
La Corte di Cassazione nella sua recente pronuncia
sull’argomento, sottolinea, inoltre, come alcune attività
meno di altre siano svolgibili sotto forma di lavoro autonomo, proprio
perché caratterizzate dall’assenza totale del rischio
economico per il collaboratore, il quale riceve ordini specifici ed
è soggetto ad un'assidua attività di vigilanza e
controllo nell'esecuzione delle prestazioni lavorative. L'esistenza di
tale vincolo va, inoltre, valutata in relazione alla specificità
del ruolo attribuito al lavoratore e all’inserimento dello stesso
nell’altrui organizzazione produttiva, specie in relazione al
coordinamento con l’attività degli altri lavoratori.
Nella
comunicazione ai sindacati per l’individuazione dei lavoratori da
porre in mobilità, il datore di lavoro deve indicare
puntualmente motivi e pesi dei requisiti che hanno portato alla scelta
dei lavoratori, cioè le modalità di interazione
tra carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico
produttive al fine di individuare i lavoratori interessati.
Secondo la cassazione “per garantire la trasparenza della
procedura, il criterio o i criteri prescelti devono essere oggettivi e
non possono essere applicati con discrezionalità”.
Nel caso di specie oltre ai criteri previsti ex lege era stato aggiunto
il fatto che l’azienda avrebbe proceduto a licenziare in prima
battuta i lavoratori che avevano dichiarato di non volersi opporre al
possibile licenziamento. Proprio questo criterio per la Corte non
può essere ritenuto oggettivo e pertanto, nel caso di specie,
viene ritenuta illegittima tutta la procedura applicata
dall’azienda, in quanto non risulta essere stato rispettato
quanto stabilito dalla legge.
La
Corte di Cassazione ha affermato l’illegittimità del
licenziamento motivato dal mancato superamento del periodo di prova,
qualora il lavoratore abbia svolto già in altri periodi le
medesime attività presso l’azienda, ciò anche se
alle dipendenze di altra società appaltatrice presso la ditta
che ora lo sta licenziando. I giudici della Suprema Corte hanno
ritenuto che il datore di lavoro abbia già conosciuto le
attitudini professionali del lavoratore ed assumendolo nelle medesime
attività, non può usufruire del “periodo di
prova” (che in quanto tale è da considerarsi nullo
poiché in frode alla legge).
La Suprema Corte ha argomentato il proprio orientamento esplicitando la causa
del patto in prova. Essa “va individuata nella tutela
dell'interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto
diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di
lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza
del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e
quest'ultimo, a sua volta, valutando l'entità della prestazione
richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto”.
E' possibile, in linea di principio, stipulare un patto in prova anche
in presenza di un precedente contratto con la medesima società,
a patto che siano nel frattempo intervenute cause idonee a
giustificarlo.
Mancando nel caso di specie tali circostanze – e, in ogni caso,
non essendo state compiutamente dedotte in sede di merito – la
Cassazione ha rigettato il ricorso confermando la decisione di secondo
grado che stabiliva l’illegittimità del licenziamento.