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Responsabilità del datore di lavoro per infortunio durante la pausa
Cassazione n. 14012 del 2 aprile 2015

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di infortunio, sussiste la responsabilità penale del datore di lavoro per lesioni colpose gravi subite dal lavoratore presente in un cantiere, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo stesse lavorando o stazionasse nel cantiere in un momento di pausa. I giudici della Suprema Corte hanno precisato come la violazione delle prescrizioni a tutela della sicurezza degli ambienti lavorativi, per il solo fatto che l’infortunio si sia realizzato all’interno del cantiere, resti attiva a prescindere dal fatto che il lavoratore stesse prestando attività lavorativa o fosse rimasto lì durante un periodo di riposo o pausa dal lavoro. E a nulla valgono tali elementi al fine di escludere la qualificabilità di infortunio sul lavoro a quello occorso alla persona offesa o comunque a scriminare la condotta colposa ascritta all’imputato.

Indici di subordinazione 
Cassazione n. 7024 dell’8 aprile 2015

La Corte di Cassazione ha ribadito quali sono gli elementi univocamente indicativi della subordinazione che, al di là del nomen juris indicato dalle parti, devono essere presi in considerazione per inquadrare il rapporto di lavoro.

Indici di subordinazione
- retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa;
- orario di lavoro fisso e continuativo;
- continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali;
- vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia;
- l’inserimento nell’organizzazione aziendale.

I suesposti indici devono, comunque, essere valutati integralmente al fine di sostanziare la prova della subordinazione.
La Corte di Cassazione nella sua recente pronuncia sull’argomento, sottolinea, inoltre, come alcune attività meno di altre siano svolgibili sotto forma di lavoro autonomo, proprio perché caratterizzate dall’assenza totale del rischio economico per il collaboratore, il quale riceve ordini specifici ed è soggetto ad un'assidua attività di vigilanza e controllo nell'esecuzione delle prestazioni lavorative. L'esistenza di tale vincolo va, inoltre, valutata in relazione alla specificità del ruolo attribuito al lavoratore e all’inserimento dello stesso nell’altrui organizzazione produttiva, specie in relazione al coordinamento con l’attività degli altri lavoratori.

Mobilità: i criteri di scelta dei lavoratori devono essere chiari e oggettivi
Cassazione n. 7490 del 14 aprile 2015

Nella comunicazione ai sindacati per l’individuazione dei lavoratori da porre in mobilità, il datore di lavoro deve indicare puntualmente motivi e pesi dei requisiti che hanno portato alla scelta dei lavoratori, cioè le modalità di interazione tra carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico produttive al fine di individuare i lavoratori interessati.
Secondo la cassazione “per garantire la trasparenza della procedura, il criterio o i criteri prescelti devono essere oggettivi e non possono essere applicati con discrezionalità”.
Nel caso di specie oltre ai criteri previsti ex lege era stato aggiunto il fatto che l’azienda avrebbe proceduto a licenziare in prima battuta i lavoratori che avevano dichiarato di non volersi opporre al possibile licenziamento. Proprio questo criterio per la Corte non può essere ritenuto oggettivo e pertanto, nel caso di specie, viene ritenuta illegittima tutta la procedura applicata dall’azienda, in quanto non risulta essere stato rispettato quanto stabilito dalla legge.

Licenziamento del lavoratore per mancato superamento del periodo di prova
Cassazione n. 8237 del 22 aprile 2015

La Corte di Cassazione ha affermato l’illegittimità del licenziamento motivato dal mancato superamento del periodo di prova, qualora il lavoratore abbia svolto già in altri periodi le medesime attività presso l’azienda, ciò anche se alle dipendenze di altra società appaltatrice presso la ditta che ora lo sta licenziando. I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto che il datore di lavoro abbia già conosciuto le attitudini professionali del lavoratore ed assumendolo nelle medesime attività, non può usufruire del “periodo di prova” (che in quanto tale è da considerarsi nullo poiché in frode alla legge).
La Suprema Corte ha argomentato il proprio orientamento esplicitando la causa del patto in prova. Essa “va individuata nella tutela dell'interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest'ultimo, a sua volta, valutando l'entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto”.
E' possibile, in linea di principio, stipulare un patto in prova anche in presenza di un precedente contratto con la medesima società, a patto che siano nel frattempo intervenute cause idonee a giustificarlo.
Mancando nel caso di specie tali circostanze – e, in ogni caso, non essendo state compiutamente dedotte in sede di merito – la Cassazione ha rigettato il ricorso confermando la decisione di secondo grado che stabiliva l’illegittimità del licenziamento.