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La
Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 11626 del 7 Giugno 2016, ha
riaffermato il principio di diritto, secondo cui in tema di
obbligazioni contributive, l'omessa o infedele denuncia mensile
all'INPS (attraverso i modelli DM10) di rapporti di lavoro o di
retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri obbligatori,
concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva", e non la meno grave
fattispecie di "omissione contributiva", che riguarda le sole ipotesi
in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e
registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi.
Alla luce di tale principio, tuttavia, la Corte di Cassazione ha
ritenuto che non configuri evasione contributiva la mancata denuncia
all’Ente di un fatturato soggetto a contribuzione in assenza
della volontà di occultare i rapporti o le retribuzioni, qualora
la mancata comunicazione sia dipesa esclusivamente da dubbi
interpretativi delle norme di legge.
Con
sentenza del 13 maggio 2016, n.9904 la Corte di Cassazione, si è
pronunciata in merito all’obbligo di esperire un accordo ex art.
4 L. 300/70 (o di ottenere la relativa autorizzazione
dell’ispettorato del lavoro) in caso di installazione di un
apparecchio che consenta la trasmissione, mediante sistema on line alla
centrale operativa, di tutti i dati acquisiti tramite la lettura
magnetica del badge del singolo lavoratore, riguardanti non solo
l'orario di ingresso e di uscita, ma anche le sospensioni, i permessi e
le pause.
Ad avviso della Corte, in tale ipotesi i predetti obblighi di legge
sussistono, in quanto si realizza in concreto, il controllo costante e
a distanza dell'osservanza da parte dei dipendenti del loro obbligo di
diligenza, sotto il profilo del rispetto dell'orario di lavoro.
La
Corte di Cassazione, con sentenza del 14 giugno 2016, n. 12204 ha
ribadito che il licenziamento ingiurioso o vessatorio, lesivo della
dignità e dell'onore del lavoratore, che dà luogo al
risarcimento del danno, ricorre soltanto in presenza di particolari
forme o modalità offensive o di eventuali forme ingiustificate e
lesive di pubblicità date al provvedimento, le quali vanno
provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio.
Non rileva, quindi, la sola gravità di fatti addebitati
(rivelatisi poi infondati) con circostanze che comportano
necessariamente un deleterio impatto sulla sua reputazione
professionale, per le conseguenze derivanti dalla conoscenza dei motivi
del licenziamento nell’ambiente di lavoro.