Cessazione di attività e violazione della procedura prevista per il licenziamento collettivo 
Corte di Cassazione, sentenza n. 89 del 4 gennaio 2019

La Corte di Cassazione, con sentenza 4 gennaio 2019, n. 89, si è pronunciata in merito alle conseguenze derivanti dal mancato rispetto del termine di sette giorni per le comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9.
Detta violazione determina l’illegittimità del licenziamento e la sanzione del pagamento dell’indennità risarcitoria, per effetto dell’espresso richiamo dell’art. 24 della predetta legge all’art. 4 citato, operato al fine di consentire il controllo sindacale sull’effettività della scelta datoriale.
Vengono così assimilate le ipotesi di cessazione di attività a quelle di licenziamento collettivo per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro.  

Fondi di previdenza complementare: tassazione

Corte di Cassazione, ordinanza n. 33441 del 27 dicembre 2018 

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 27 dicembre 2018, n. 33441, ha ribadito il principio di diritto in tema di tassazione delle prestazioni rinvenienti dai fondi di previdenza integrativi.
In particolare è stato chiarito che le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all'entrata in vigore del Decreto Legislativo 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario:
a) per gli importi maturati a decorrere dal 10 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata;
b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione é assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all'attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro. Si applica, invece, la ritenuta del 12,50% (L. 482/85 art. 6) alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento. Sono tali le somme derivanti dall'effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato non necessariamente finanziario - non anche quelle calcolate attraverso l'adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate. 

Preavviso dovuto anche se il dipendente va in pensione
Corte di Cassazione ordinanza n. 521 dell’11 gennaio 2019

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 521 dell’11 gennaio 2019, ha rammentato il regime applicabile al preavviso in ipotesi di cessazione del rapporto con raggiungimento dei requisiti pensionistici.
Dalla legge del 1 maggio 1990, n. 108, articolo 4 si desume che il compimento dell'età pensionabile (o il raggiungimento dei requisiti per l’effettiva attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia da parte del lavoratore) determinano soltanto la recedibilità "ad nutum" dal rapporto di lavoro e, dunque, il venire meno del regime di stabilità, non già l’automatica estinzione del rapporto stesso. Ne consegue che:
- in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, il rapporto prosegue con diritto del lavoratore a percepire le retribuzioni anche successivamente alla maturazione del requisito pensionistico;
- per la risoluzione del rapporto per limiti di età anagrafica del lavoratore, al datore di lavoro é imposto comunque l'obbligo di preavviso.

Nel rapporto di lavoro possibile compensare l’anticipo di incentivo all’esodo con il TFR
Corte di Cassazione, ordinanza n. 1513 del 21 gennaio 2019 

La Corte di Cassazione, con Ordinanza del 21 gennaio 2019, n. 1513 ha confermato la legittimità della compensazione delle somme erogate a titolo di incentivo all’esodo, con gli importi loro dovuti a titolo di trattamento di fine rapporto.
La compensazione del tfr con crediti del datore di lavoro è legittima, posto che il divieto previsto dall’art. 1246, n. 3, c.c., in relazione ai crediti impignorabili, opera solamente con riguardo alla compensazione “propria” (ovverosia, quella in cui le reciproche ragioni di debito-credito nascono da distinti rapporti giuridici) e non anche per quella “impropria” (quella in cui le suddette ragioni provengono da un unico rapporto, quale è indubbiamente il rapporto di lavoro).


Sanzioni civili per omissione contributiva e licenziamento nullo
Corte di Cassazione, ordinanza n. 2019 del 24 gennaio 2019 

La Corte di cassazione, con Ordinanza 24 gennaio 2019, n. 2019 ha confermato i principi di diritto espressi dalle sezioni unite in merito all’obbligo di versamento delle sanzioni per omissioni contributive in ipotesi di declaratoria di illegittimità del licenziamento.
La Corte d’appello ha ritenuto che l’efficacia retroattiva della sentenza costitutiva di annullamento del licenziamento di un dipendente, giudicato illegittimo, determina la non interruzione de iure anche del rapporto di previdenza con consequenziale affermazione dell’obbligo contributivo oggetto della cartella opposta.
In tema di reintegrazione del lavoratore per illegittimità del licenziamento, occorre distinguere, ai fini delle sanzioni previdenziali, tra:
- la nullità o inefficacia del licenziamento, che è oggetto di una sentenza dichiarativa. In tal caso il datore di lavoro, oltre che ricostruire la posizione contributiva del lavoratore “ora per allora“, deve pagare le sanzioni civili per omissione ex art. 116, comma 8, lett. a, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e
- l’annullabilità del licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, che è oggetto di una sentenza costitutiva. In tal caso, il datore di lavoro non è soggetto a tali sanzioni. Per il periodo successivo all’ordine di reintegra, sussiste l’obbligo di versare i contributi periodici, oltre al montante degli arretrati, sicché riprende vigore la disciplina ordinaria dell’omissione e dell’evasione contributiva.

Codatorialità e responsabilità solidale
Corte di Cassazione, sentenza n. 3899 dell’11 febbraio 2019

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3899 dell’11 febbraio 2019, si è pronunciata in merito alla responsabilità solidale in ipotesi di codatorialità.
La Cassazione, nel caso esaminato, ritenendo esistente di fatto la codatorialità, ammette da un lato l’esistenza e dall’altro il sorgere automatico di un adempimento in solido, a carico di tutti i datori, degli obblighi contributivi ed assicurativi.
Ciò in quanto la prestazione lavorativa è stata fornita in modo indifferenziato e contemporaneo fra i vari datori di lavoro, senza poter distinguere quale parte sia svolta nell’interesse dell’uno o degli altri.