Cassa integrazione guadagni straordinaria
Corte di Cassazione, sentenza n. 1378 del 18 gennaio 2019

La Corte di Cassazione con sentenza 18 gennaio 2019 n. 1378 è intervenuta in materia di procedimento per la concessione della cassa integrazione straordinaria: nello specifico la verifica della specificità dei criteri di individuazione dei lavoratori da collocare in CIGS e delle modalità della rotazione deve essere condotta tramite valutazione in astratto ex ante, e non in concreto ex post. Ciò in quanto la stessa deve adempiere oltre che alla funzione di porre le associazioni sindacali in condizione di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere anche a quella di assicurare al lavoratore la previa individuazione di tali criteri e la verificabilità dell'esercizio del potere del datore di lavoro.
Il potere dell’imprenditore riguardo la scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione guadagni è soggetto sia a limiti esterni, correlati al divieto di discriminazione ed ai principi di correttezza e buona fede, che a limiti interni, connessi all'osservanza dei criteri coerenti con la finalità dell'istituto della cassa integrazione, espressamente concordati con le associazioni sindacali, in relazione ai quali il criterio della professionalità deve riferirsi alla professionalità specifica dei lavoratori legata alla realtà aziendale, e non a livelli professionali scelti discrezionalmente in relazione al maggiore o minore rendimento professionale.  

Indennità e maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori trasfertisti

Corte di Cassazione, ordinanza n. 2424 del 29 gennaio 2019

La Corte di Cassazione, con ordinanza 29 gennaio 2019, n. 2424 ha ripreso i criteri enunciati dall’art. 7 quinques, D.L. n. 193/2016 (convertito con modificazioni in L. n. 225/2016) ai sensi del quale il comma 6 dell’art. 51 TUIR (riguardante le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori trasfertisti) si interpreta nel senso che i dipendenti rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: (i) mancata indicazione nella lettera di assunzione della sede di lavoro; (ii) svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; (iii) la corresponsione al lavoratore, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.
Ai lavoratori ai quali, a seguito della mancata contestuale esistenza delle predette condizioni, non è applicabile la disposizione del comma 6 art. 51 TUIR, si applica il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 dell’art. 51 TUIR.
La Suprema Corte ha precisato che l’art. 7 quinques in esame ha dettato criteri univoci per distinguere ai fini fiscali e contributivi la situazione dei “trasfertisti abituali” – per i quali le relative indennità e maggiorazioni sulla retribuzione concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare - da quella dei “trasfertisti occasionali” – per i quali le indennità percepite per le trasferte e le missioni fuori dal territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente gli importi definiti dal comma 5 art. 51 TUIR. 

L’indennità per ferie non godute e assoggettamento a tassazione
Corte di Cassazione ordinanza n. 5482 del 25 febbraio 2019

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 25 febbraio 2019 n. 5482, ha affermato che l’indennità erogata al lavoratore dipendente per ferie non godute deve considerarsi soggetta a tassazione, concorrendo alla determinazione del reddito di lavoro dipendente imponibile. La Sezione Tributaria della Suprema Corte ha ricordato che nella disciplina fiscale la norma di riferimento per la determinazione del reddito di lavoro dipendente è l’art. 51 TUIR, in base al quale il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Tale articolo specifica nei commi seguenti singole fattispecie di esenzione dal reddito imponibile, tra le quali non figura l’indennità per ferie e riposi non goduti.
Nell’ordinanza in esame la Corte rivela inoltre come l’indennità per ferie non godute è in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo cui avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia apprestata dall'articolo 2126 c.c.

Somministrazione e assegni per il nucleo familiare
Corte di Cassazione, sentenza n. 6870 dell'8 marzo 2019

La Corte di Cassazione, con sentenza 8 marzo 2019, n. 6870 ha affermato che i lavoratori somministrati assunti a tempo indeterminato hanno diritto nel corso del rapporto di lavoro alla percezione dell’assegno per il nucleo familiare a carico dell’INPS e anticipato dall’Agenzia per il Lavoro anche nei periodi di fruizione dell’indennità di disponibilità. La Corte considera che il contratto di somministrazione configura un rapporto giuridico caratterizzato dalla presenza di tre soggetti: il somministratore, il lavoratore e l’utilizzatore che concludono due distinti contratti. Il contratto di somministrazione concluso tra il somministratore e l’utilizzatore per l’invio di lavoratori presso l’utilizzatore che provvederà a dirigerli verso il pagamento di un corrispettivo. Diverso contratto è quello di lavoro somministrato, con cui il lavoratore si obbliga nei confronti dell’Agenzia di somministrazione a lavorare alle condizioni previste dai contratti di somministrazione che essa stipulerà. Il dettato legislativo – afferma la Suprema Corte – è chiaro: il rapporto di lavoro intercorre tra lavoratore e somministratore stesso rimane in vita anche quando il lavoratore non viene inviato in missione ma rimane in attesa di assegnazione. Rimane altresì la continuità giuridica, caratteristica della subordinazione, pur a fronte della discontinuità della prestazione. Ne deriva che negli intervalli di non lavoro, fra una missione e l’altra, si configura un obbligo a carico del datore di lavoro i cui effetti sono disciplinati dalla stessa legge con la previsione, tra l’altro, del pagamento di un’indennità di disponibilità che ha natura retributiva e di corrispettivo dell’obbligazione della messa a disposizione del lavoratore. Tale indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo (mensilità aggiuntive, ferie, festività, TFR ecc.) ed è soggetta a contribuzione e all’imposta sul reddito da lavoro dipendente. I contributi sono versati nell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e, in assenza di previsioni specifiche, va ritenuto che la stessa sia soggetta all’aliquota contributiva ordinaria, tra cui rientra anche una quota a titolo di CUAF.
Pertanto, ad avviso della Corte, per il diritto alla percezione degli ANF, la situazione del lavoratore somministrato in situazione di disponibilità deve essere parificata a quella dei “lavoratori che prestano lavoro retribuito alle dipendenze di altri”.


Modalità di comunicazione del provvedimento disciplinare
Corte di Cassazione, ordinanza n. 7306 del 14 marzo 2019

La Corte di Cassazione, con sentenza del 14 marzo 2019, n. 7306, ha riaffermato il principio secondo il quale il lavoratore è tenuto a ricevere sul posto di lavoro e durante l’orario lavorativo comunicazioni, anche formali, da parte del datore di lavoro e di suoi delegati, sicché il rifiuto del lavoratore alla ricezione di un atto unilaterale recettizio comporta che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta, in quanto giunta ritualmente, ai sensi dell'art. 1335 c.c.. Tuttavia la Suprema Corte ha sancito che la consegna non si perfeziona se a fronte del rifiuto del dipendente di controfirmare la comunicazione per ricevuta il datore di lavoro o il suo delegato non ha provveduto alla lettura della comunicazione o ad informare anche sommariamente il dipendente del contenuto stessa.
Nel caso specifico l’azienda aveva tentato di consegnare personalmente al dipendente la comunicazione di irrogazione del provvedimento disciplinare in busta chiusa, ma il lavoratore aveva rifiutato la ricezione dell’atto. Il datore di lavoro ha quindi applicato il provvedimento disciplinare inviando successivamente una raccomandata ricevuta dal dipendente solo dopo l’irrogazione della sanzione, che a questo punto è da considerarsi illegittima in quanto non comunicata prima dell’esecuzione.
La Corte di Cassazione ha infine concluso sancendo che la sola consegna di una busta chiusa non accompagnata dal tentativo di darne lettura, non consente al dipendente di conoscere il contenuto della comunicazione, vanificando quindi il perfezionamento della notifica a mani. Inoltre, è possibile desumere indirettamente il mancato perfezionamento di tale notifica a mani anche dal fatto che successivamente a tale tentativo l’azienda ha proceduto ad inviare tramite raccomandata la stessa comunicazione di irrogazione della sanzione.

Attività lavorativa durante l’infortunio e licenziamento
Corte di Cassazione, sentenza n. 7641 del 19 marzo 2019

La Corte di Cassazione, con sentenza 19 marzo 2019, n. 7641, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato nei confronti in un dipendente per aver svolto nel periodo di assenza per infortunio attività lavorativa presso un’impresa terza, consistente nella guida di automezzi con carico e scarico di cerchi in lega per autovetture.
La Corte ha giudicato come il comportamento posto in essere del dipendente (che ha disatteso la prescrizione medica) fosse tale da compromettere e ritardare la guarigione, richiamando inoltre l’orientamento secondo il quale “lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia/infortunio, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio”.