Facebook e diffamazione del datore di lavoro 
Corte di Cassazione, sentenza 27 Aprile 2018 n. 10280

Con la Sentenza n. 10280 del 27 aprile 2018 la Corte di Cassazione, conferma la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice che aveva scritto messaggi sulla propria bacheca virtuale di Facebook in cui esprimeva disprezzo per l’azienda, senza specificare il nominativo del rappresentante dell’azienda (benché fosse facilmente identificabile).
La Suprema Corte ha precisato che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca ‘facebook’ integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione.
Viene inoltre chiarito che al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto.

Illegittimità del licenziamento di chi rifiuta
giustificatamente nuovi compiti
Corte di Cassazione, ordinanza del 17 maggio 2018 n. 12094

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12094 del 17 maggio 2018, ha dichiarato la illegittimità di un licenziamento intimato ad un dipendente che si rifiutava di eseguire un provvedimento datoriale.
La Cassazione precisa che non esiste una presunzione di legittimità dei provvedimenti datoriali che ne imponga l’ottemperanza fino a contrario accertamento in giudizio.
Un’inosservanza delle direttive datoriali può essere giustificata, nel caso in cui vi sia l’impossibilità oggettiva del prestatore a svolgere le attività per cui lo stesso ha espresso il proprio diniego.

All’avvocato l’indennità genitoriale al posto della madre
Corte di Cassazione, sentenza n. 10282 del 27 aprile 2018

Con la Sentenza n. 10282 del 27 aprile 2018 la Corte di Cassazione, recepisce, in attesa di un intervento del legislatore, i dettami della sentenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 385 del 2005) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevedevano che al padre spettasse il diritto a percepire, in alternativa alla madre, l'indennità di maternità in caso di adozione.
In particolare viene applicato il principio all’ipotesi di adozione di un bambino, per cui il padre ha diritto di fruire dell’indennità genitoriale in sostituzione della madre, anche se è un avvocato e non un lavoratore dipendente.

Part-time verticale e copertura contributiva
Corte di Cassazione, sentenza n. 10526 del 3 maggio 2018

La Corte di Cassazione con sentenza n. 10526 del 3 maggio 2018 si pronuncia in merito alla maturazione dell’anzianità contributiva necessaria per beneficiare delle prestazioni previdenziali da parte dei lavoratori part-time verticali.
A riguardo la Corte ha precisato che non rileva il numero dei contributi da accreditare al lavoratore in regime di part-time, ma la possibilità che essi, quale che ne sia l’ammontare determinato, siano riproporzionati sull’intero anno cui si riferiscono, ancorché siano stati versati in relazione a prestazioni lavorative eseguite in una frazione di esso.
Né rileva la circostanza del mancato raggiungimento del minimale contributivo (e in generale quella del numero dei contributi settimanali da accreditare ai dipendenti) essendo una questione distinta dall’anzianità previdenziale tout court e dunque dalla relativa durata (anche ai fini previdenziali) dell’attività lavorativa.


Controlli automatici e impugnazione cartella
Corte di Cassazione, sentenza n. 12689 del 23 maggio 2018

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12689 del 23 maggio 2018, si è pronunciata in tema di impugnazione della cartella di pagamento emessa a seguito di procedura di controllo automatizzato.
L’impugnazione della cartella di pagamento, emessa in seguito alla procedura di controllo automatizzato (ex art. 36-bis d.p.r. 600/73), non è preclusa dalla circostanza che l’atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione. Siffatta conclusione presupporrebbe, invero, l’irretrattabilità della dichiarazione del contribuente, mentre essa si configura non quale atto negoziale o dispositivo, ma come dichiarazione di scienza, come tale emendabile e ritrattabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione.

Opposizione a cartella esattoriale: notifica dell’appello alle parti
Corte di Cassazione, sentenza n. 12427 del 21 maggio 2018

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12427 del 21 maggio 2018, si pronuncia in merito alla validità della notifica del gravame effettuata presso l’esattore anziché presso il procuratore domiciliatario costituito.
La Corte ha confermato che nel giudizio tributario la notifica effettuata direttamente ad Equitalia è nullo, ai sensi dell’art. 330 del c.p.c., richiamato dagli articoli 1 e 49 del d.lgs. 546/92, sicché in tali ipotesi il giudice d’appello deve disporre il rinnovo della notifica.