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L’obbligo di repechage del
lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo non è
violato per effetto di un’assunzione a termine operata un mese
prima del licenziamento.
Nel caso esaminato dal Tribunale, una lavoratrice era stata licenziata
per soppressione della posizione lavorativa conseguente
all'esternalizzazione del servizio svolto dall'ufficio nel quale era
inserita.
Quest'ultima decisione organizzativa, si osserva preliminarmente
nell'ordinanza, costituisce una scelta insindacabile da parte del
giudice, che deve limitarsi ad accertarne l'effettività. Una
volta effettuato tale accertamento con esito positivo, va verificata la
possibilità di utilizzo del lavoratore su posizioni alternative.
Solo in caso di impossibilità di un diverso utilizzo del
lavoratore può infatti ritenersi integrato il giustificato
motivo oggettivo di licenziamento. La prova di tale
impossibilità, della quale è onerato il datore di lavoro,
si traduce concretamente nella verifica delle assunzioni eventualmente
effettuate in epoca precedente e successiva al licenziamento.
Ciò in quanto un'assunzione a ridosso del licenziamento
può essere rivelatrice della necessità di ricoprire una
posizione lavorativa che avrebbe potuto essere offerta al lavoratore
destinatario del provvedimento di recesso, in alternativa al medesimo.
Un primo tema che si pone al riguardo è se le mansioni
alternative che il datore di lavoro ha l'obbligo di proporre siano solo
quelle equivalenti in senso stretto, che comportano l'inquadramento nel
medesimo livello del contratto collettivo. Il Tribunale di Roma, mentre
esclude la rilevanza delle assunzioni per mansioni superiori, aderisce
a quell'orientamento che afferma l'obbligo del datore di lavoro, prima
di procedere al licenziamento, di offrire al lavoratore anche la
possibilità di reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel
suo bagaglio professionale.
Non avendo rinvenuto, nel caso concreto, assunzioni per mansioni
equivalenti o inferiori in epoca successiva al licenziamento, il
Tribunale si focalizza su alcune assunzioni antecedenti. Alcune di esse
vengono considerate irrilevanti in quanto, in relazione alla concreta
situazione aziendale, risalenti a tempi definiti «non
sospetti», nei quali cioè la decisione organizzativa che
aveva portato alla soppressione della posizione lavorativa del
lavoratore licenziato non era evidentemente all'ordine del giorno.
Risulta invece che alcune posizioni lavorative erano state ricoperte
con assunzioni effettuate solo un mese prima del licenziamento. Una
simile distanza temporale dal recesso, afferma il Tribunale, fa
legittimamente presumere la concomitanza dell'esigenza di ricoprire
alcune posizioni lavorative e della soppressione del posto di lavoro
del lavoratore poi licenziato. Con la conseguenza che tali diverse
posizioni avrebbero dovuto essere offerte, in alternativa al
licenziamento, al lavoratore destinatario del medesimo. Ma ciò
solo nel caso in cui si fosse trattato di assunzioni a tempo
indeterminato.
E qui sta l'affermazione più interessante del Tribunale di Roma.
Lo strumento contrattuale scelto per ricoprire le diverse posizioni
lavorative in questione è stato quello del contratto a tempo
determinato, il che esclude l'obbligo del datore di lavoro di proporlo
al lavoratore come valida alternativa al licenziamento. Nessuna
violazione quindi dell'obbligo di repêchage qualora le posizioni
di lavoro alternative in azienda siano disponibili solo a termine.
La Cassazione afferma, in altri termini, che la previsione di un secondo periodo di prova non può essere ritenuta illegittima in assoluto a fronte di un precedente rapporto di lavoro intercorso tra le parti e per cui si era già consumato un periodo di prova iniziale, ma che si tratta di verificare se ricorrono specifiche condizioni che, in rapporto al contenuto delle responsabilità assegnate al lavoratore con il nuovo contratto di lavoro, giustifichino una nuova e più meditata valutazione delle attitudini personali e le qualità professionali del dipendente.
La Cassazione ha ribadito, rifacendosi a un proprio precedente insegnamento, che la ripetizione di un patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti risulta ammissibile se sono intervenuti, nel tempo, fattori ulteriori che non attengono solo alle capacità professionali, ma anche alle abitudini di vita e alle condizioni personali o di salute del lavoratore. La sentenza 23381 perviene a questa conclusione sulla scorta del principio per cui la causa del patto di prova va individuata nella tutela dell'interesse comune delle due parti a poter verificare la reciproca convenienza alla prosecuzione del contratto.
Secondo la Corte di Cassazione l’amministratore
dell’impresa che, operando con macchinari che producono forti
emissioni sonore, non effettua la valutazione del rischio rumore
durante il lavoro, è responsabile penalmente.
Nello specifico la Suprema Corte, ha chiarito che il datore di lavoro
deve obbligatoriamente provvedere a tale valutazione con redazione di
apposito rapporto da tenere a disposizione degli ispettori, a nulla
rilevando il fatto che non sia stato mai superato il limite di decibel
consentito per legge.
Con la sentenza in
commento la Cassazione ha affermato che l’art. 3, comma 3, della
legge n. 223/1991, relativa alle procedure concorsuali, è la
sola eccezione alla regola generale che impone alle imprese che aprono
la procedura di mobilità e, successivamente, collocano in
mobilità alcuni lavoratori, di pagare il contributo di ingresso,
non essendo possibile una interpretazione estensiva della norma (nel
caso di specie la Corte di Appello di Palermo aveva esonerato dal
pagamento un imprenditore che, a seguito del sequestro dello
stabilimento per inquinamento ambientale, aveva licenziato tutti i
dipendenti che prestavano la loro attività’ in quella
unità produttiva).
Va precisato che sull’argomento relativo al contributo di
ingresso alla mobilità, per effetto dell’art. 16 della
legge n. 161/2014 (data di entrata in vigore il 25 novembre 2014), il
contributo di ingresso alla mobilità non si pagherà anche
per il personale con qualifica dirigenziale interessato da una
procedura collettiva di riduzione di personale.