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NOVEMBRE 2016
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GiurisprudenzaScarica PDF
Comportamenti extralavorativi e legittimità del licenziamento
Corte di Cassazione, sentenza del 24 ottobre 2016 n. 21367

La Corte di Cassazione, con sentenza del 24 ottobre 2016, n. 21367, ha confermato un risalente principio giurisprudenziale secondo cui rientra nella nozione di giusta causa di recesso del datore di lavoro ogni fatto o comportamento del lavoratore, anche estraneo alla sfera del contratto e, in particolare, anche diverso dall'inadempimento contrattuale, che sia tale da far venir meno quella fiducia che costituisce il presupposto essenziale della collaborazione e, quindi, della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
In particolare, la condotta illecita extralavorativa é suscettibile di rilievo disciplinare se il lavoratore é tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dell'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o comprometterne il rapporto fiduciario. Deve, tuttavia, trattarsi di comportamenti che, per la loro gravità, siano suscettibili di scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro perché idonei, per le concrete modalità con cui si manifestano, ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali.
Nel caso di specie è stato ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente del settore elettrico, arrestato per produzione e traffico di sostanze stupefacenti, essendo peraltro stata diffusa la notizia dagli organi di stampa con indicazione della denominazione del datore di lavoro.

Controllo del PC aziendale: limiti per il datore di lavoro  
Corte di Cassazione, sentenza del 3 novembre 2016 n. 22313 

Con la sentenza del 3 novembre 2016 n. 22313, la Corte di Cassazione ha confermato che il datore di lavoro può effettuare dei controlli mirati (direttamente o attraverso la propria struttura) al fine di verificare il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro, tra cui i p.c. aziendali. Nell'esercizio di tale prerogativa, occorre tuttavia rispettare la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché, con specifico riferimento alla disciplina in materia di protezione dei dati personali dettata dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, i principi di correttezza (secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti devono essere rese note ai lavoratori), di pertinenza e non eccedenza. Va, infatti, tenuto conto che tali controlli possono determinare il trattamento di informazioni personali, anche non pertinenti, o di dati di carattere sensibile.
E’ stata, pertanto, cassata con rinvio la sentenza di merito per non essere state accertate le modalità di effettuazione del controllo fattuale in ordine alle concrete modalità con le quali l’ispezione era stata condotta, onde verificare la reale consistenza delle attività effettuate e delle richieste degli ispettori, nonché la loro conformità con eventuali policy aziendali. Nel caso in esame il lavoratore, nel corso del controllo datoriale, aveva cancellato dal computer aziendale alcuni file (contenenti materiale pornografico) al fine di evitare che venissero aperti pubblicamente.

Soppressione delle mansioni post cessione di ramo d’azienda: licenziamento legittimo  
Corte di Cassazione, sentenza del 4 novembre 2016 n. 22476

Nella sentenza n. 22476 del 4 novembre 2016 la Corte di Cassazione ha esaminato la fattispecie di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo occasionato da un trasferimento di ramo d’azienda, ma non diretta conseguenza dello stesso.
La Corte ha precisato, a riguardo, che il trasferimento d’azienda non può, come tale, costituire ragione giustificativa del licenziamento, a norma dell'art. 2112, quarto comma c.c., ma non può neppure impedire un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che abbia fondamento nella struttura aziendale restante dopo la cessione (in particolare, il licenziamento - ritenuto legittimo - era giustificato dal venir meno, a seguito della cessione, delle mansioni di progettazione e realizzazione di impianti).
Peraltro, in mancanza di impugnativa dell’efficacia nei propri confronti di un trasferimento di ramo d’azienda, il lavoratore non può più contestare eventuali vizi nei confronti della società cessionaria.

Licenziamento collettivo e criteri di scelta: lavoratori pensionandi  
Corte di Cassazione, sentenza del 7 novembre 2016 n. 22743

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22743 del 7 novembre 2016, ha confermato, in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale, che in presenza di un progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l'imprenditore può limitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso alla stregua della classificazione per aree funzionali, senza necessità di avere riguardo alle eccedenze delle singole unità produttive o aree territoriali.
In materia di collocamenti in mobilità e di licenziamenti collettivi, infatti, ove il criterio di scelta adottato nell'accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali sia unico e riguardi la possibilità di accedere al prepensionamento, tale criterio sarà applicabile a tutti i dipendenti dell'impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, restando perciò irrilevanti i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura.

Appalti e Durc: momento di verifica della regolarità contributiva  
Corte Europea di Giustizia, sentenza 10 novembre 2016

Con sentenza (causa C 199/2015) del 10 novembre 2016, la Corte Europea di Giustizia si è pronunciata con riferimento all’art. 45 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
La Corte di Giustizia ha precisato che risulta in linea con la richiamata previsione una norma che obbliga l’amministrazione aggiudicatrice a considerare, quale motivo di esclusione, una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d’ufficio dall’amministrazione aggiudicatrice (DURC) e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussista alla data della partecipazione ad una gara d’appalto.
Ciò anche se l’irregolarità non sussiste più alla data dell’aggiudicazione o della verifica d’ufficio da parte dell’amministrazione aggiudicatrice.

Rapporto a tempo parziale verticale ed anzianità contributiva  
Corte di Cassazione, sentenza del 10 novembre 2016 n. 22936

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22936 del 10 novembre 2016, confermando un precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale, ha sancito che va riconosciuta l’intera anzianità contributiva annuale per i periodi in cui il dipendente ha lavorato in regime di part-time verticale ciclico ai fini del conseguimento di prestazioni previdenziali.
Tale regola costituisce una logica conseguenza del principio per cui, nel contratto a tempo parziale verticale, il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta: prova ne é che ai lavoratori impiegati secondo tale regime orario non spettano per i periodi di inattività né l'indennità di disoccupazione, né l'indennità di malattia.
Peraltro, diversamente opinando, si violerebbe il principio, di matrice comunitaria e riproposto nella sentenza della Corte di giustizia europea del 10 giugno 2010, della non discriminazione dei lavoratori part-time rispetto a quelli a tempo pieno. 

Scarso rendimento: GMS o GMO? 
Corte di Cassazione, sentenza del 22 novembre 2016 n. 23735

Con la sentenza n. 23735 del 22 novembre 2016, la Corte di Cassazione ha precisato, con riferimento al c.d. scarso rendimento del lavoratore, che la sussunzione nell’ambito del giustificato motivo oggettivo o del licenziamento per mancanze, non può essere rimessa alla libera scelta datoriale. In particolare deve escludersi la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo quando, al di là di ogni eventuale riferimento a ragioni relative all’impresa, il licenziamento è fondato su di un comportamento riconducibile alla sfera volitiva del lavoratore e lesivo dei suoi doveri contrattuali.
In particolare, é stata sottoposta alla Corte una fattispecie concreta in cui l’azienda si lamentava della prestazione resa dal dipendente, imputando al medesimo “mancanza di adeguamento alle esigenze (comportamentali, predittive, valutative, ecc.) che la evoluzione del mercato comporta” nonché “mancanza di adeguamento alle attuali esigenze del nostro settore”. La Corte ha ritenuto che si tratti di un licenziamento “per mancanze” (e non per GMO, come qualificato dall’azienda) in considerazione non solo dalla testuale espressione utilizzata nella comunicazione di licenziamento, ma anche dal riferimento, pure ivi contenuto, alla circostanza che tale adeguamento era stato “sollecitato” dall’azienda, evidentemente quale prestazione esigibile del dipendente.