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Previdenza complementare: la portabilità è un diritto
Cassazione n. 477 del 14 gennaio 2015

La possibilità di trasferire la propria posizione da un fondo pensione all'altro è un principio cardine del sistema di previdenza integrativa. Il decreto legislativo n. 252/2005, infatti, ha previsto, da un lato, la facoltà per l'aderente ad un fondo di previdenza complementare di trasferire l'intera posizione individuale maturata a un’altra forma pensionistica e, dall'altro lato, che gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche prevedano esplicitamente tale facoltà,. Non possono, pertanto, contenere clausole che risultino, anche di fatto, limitative del diritto alla portabilità dell'intera posizione individuale.
Ciò nonostante, esiste ancora oggi contenzioso in materia; la problematica per larga parte investe i fondi preesistenti alla riforma del 1992/1993.
Le Sezioni unite della Cassazione hanno risolto un conflitto interpretativo sorto in merito all'applicabilità del trasferimento della posizione detenuta in un fondo a capitalizzazione collettiva.
In sintesi, la vicenda nasce dalle pretese avanzate da un lavoratore che all'atto della richiesta di trasferimento della propria posizione avanzata nel 1997 aveva ottenuto il trasferimento unicamente della contribuzione a proprio carico e non della quota parte versata dal datore di lavoro. La Cassazione, dando atto di differenti orientamenti dei giudici di legittimità, risolve il contrasto aderendo, alla tesi secondo cui il diritto alla portabilità non può essere compresso e, pertanto, lo stesso deve ritenersi generalmente applicabile a tutte le forme di previdenza complementare, siano esse a capitalizzazione individuale o collettiva.

Mancato versamento dei contributi 
Cassazione n. 1476 del 27 gennaio 2015

La Corte di Cassazione ha confermato che il parziale mancato versamento dei contributi previdenziali e assicurativi dovuti, come conseguenza di una qualificazione errata del rapporto di lavoro (rapporto autonomo a fronte del riconoscimento di un rapporto di subordinazione), integra gli estremi della sanzione di omessa contribuzione e non di evasione contributiva.
I giudici della Suprema Corte hanno evidenziato come già la Corte di Cassazione, con una sentenza a Sezioni unite (Cass. n. 4808 del 7 marzo 2005), avesse specificato il limite all’applicazione delle due fattispecie sanzionatorie:

- l’evasione contributiva si verifica quando viene omessa la denuncia di un rapporto (come avviene in caso di mancata presentazione del modello DM\10, recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali dovuti); in pratica, la fattispecie si realizza solo quando le registrazioni o le denunce obbligatorie sono omesse o non conformi al vero allo scopo specifico di non versare i contributi o i premi, occultando il rapporto di lavoro e le retribuzioni pagate;

- l’omissione contributiva si verifica quando il mancato pagamento da parte del datore di lavoro dei contributi dovuti è seguito, comunque, alla presentazione delle denunce e delle registrazioni obbligatorie.

Utilizzo dei congedi per gravi motivi familiari
Cassazione n. 2803 del 12 febbraio 2015

La fruizione unilaterale di congedi per gravi motivi da parte del lavoratore, in mancanza di una previa disamina del datore di lavoro sulla ricorrenza effettiva delle esigenze dedotte e di una verifica sulla compatibilità dei giorni di congedo rispetto alle esigenze aziendali, pregiudica l’esercizio del potere di organizzazione e di direzione dell’impresa definito dagli articoli 2094 e 2104 del codice civile e determina, inoltre, nocumento anche per gli altri lavoratori che operano nel medesimo contesto aziendale.
Sulla base di questi rilievi, la Cassazione ha confermato il licenziamento disciplinare di un lavoratore che aveva fruito di congedi per gravi motivi, di durata non superiore a tre giorni, in ripetute occasioni, senza avere atteso il consenso del datore di lavoro e avergli consentito di effettuare le proprie verifiche.
Infatti al datore di lavoro è concesso, in presenza di ragioni organizzative o produttive che non consentono di sostituire il dipendente, di esprimere il proprio diniego e di proporre il rinvio del congedo stesso ad un periodo successivo. Eccezione a questa regola si ha nel caso di congedo del dipendente riconducibile al decesso del coniuge, di un parente entro il secondo grado o del convivente, nel qual caso è previsto che, se la richiesta di congedo si riferisce a periodo non superiore a tre giorni, il datore di lavoro sia tenuto a dare una risposta entro le 24 ore.
La Cassazione afferma che il congedo per gravi motivi, pur essendo qualificabile come diritto soggettivo potestativo, presuppone che il datore di lavoro sia stato posto nella condizione di controllare l’effettiva sussistenza delle giustificazioni e di esprimere, quindi, la propria adesione o di formulare, in alternativa, una proposta di differimento del congedo o di fruizione parziale.

Licenziamento per comportamenti extralavorativi
Cassazione n. 2550 del 12 febbraio 2015

La Corte di Cassazione ha affermato che è legittimo il licenziamento di un lavoratore a fronte di comportamenti extralavorativi che sono in contrasto, per loro natura, con i doveri connessi al rapporto di lavoro.
Sulla scorta di questo principio la Cassazione ha confermato le valutazioni già espresse dalla Corte d’Appello con riferimento alla legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato nei confronti di un lavoratore responsabile di ripetuti atti di violenza nei confronti della moglie, anch’essa socia dell’impresa, non solo al di fuori del rapporto di lavoro ma anche all’interno dell’azienda ed in presenza di clienti.
I giudici della Suprema Corte evidenziano come gli obblighi di diligenza e fedeltà, insieme a quelli di correttezza e buona fede, richiesti al lavoratore durante il rapporto di lavoro, costituiscono obbligazioni fondamentali per la continuazione del rapporto stesso. Detti obblighi vanno letti in “senso lato” e cioè devono riguardare anche comportamenti extralavorativi ed essere connessi ai doveri complementari e strumentali all’esecuzione del contratto di lavoro, tali da non rendere pregiudizio al datore di lavoro.
La Cassazione nella sentenza in commento precisa, a questo proposito, che l’obbligo di fedeltà previsto dall’articolo 2105, che insieme all’obbligo di diligenza di cui all’art. 2104 del codice civile costituisce una delle obbligazioni fondamentali in cui si sostanzia il rapporto di lavoro subordinato, ha un contenuto più ampio di quello che risulta dalla sola disposizione codicistica, in quanto si deve integrare con i canoni della correttezza e della buona fede che devono presiedere alla gestione del rapporto di lavoro ai sensi degli articoli 1175 e 1375 del codice civile.
Alla luce di questa lettura la Corte precisa che assumono rilevanza anche i comportamenti extralavorativi del lavoratore, il quale è tenuto ad astenersi dal compimento di iniziative pregiudizievoli rispetto alle esigenze del datore di lavoro non solo durante il disimpegno delle proprie attività lavorative, ma anche in ogni altro contesto, incluso quello familiare, idoneo a confliggere con gli interessi dell’impresa e a danneggiare, quindi, il datore di lavoro