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Contestazione disciplinare tardiva: illegittimità del licenziamento
Corte di Cassazione, sentenza 31 gennaio 2017, n. 2513
Con la sentenza n. 2513 del 31 gennaio 2017 la Corte di Cassazione si
è pronunciata in merito alla sanzione irrogabile in caso di
licenziamento disciplinare per assenza arbitraria, protrattasi per un
periodo superiore a quello consentito dal CCNL.La Corte ha precisato a riguardo che un fatto non tempestivamente contestato ex art. 7 L. n. 300/70 deve essere considerato come "insussistente" non possedendo l'idoneità ad essere verificato in giudizio. Si tratta in realtà di una violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro a carattere radicale che, coinvolgendo i diritti di difesa del lavoratore, impedisce in radice che il Giudice accerti la sussistenza o meno del " fatto", e quindi di valutarne la commissione effettiva, anche a fini della scelta tra i vari regimi sanzionatori. Ne consegue che trova applicazione la tutela reintegratoria ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in presenza delle condizioni di legge.
Né rileva il fatto che non vi sia stato alcun pregiudizio per la difesa del lavoratore, in quanto il ritardo abnorme nella contestazione viola ogni principio di trasparenza e comporta la compromissione dei diritti di difesa.
In particolare la contestazione era intervenuta 15 mesi dopo la riammissione in servizio su ordine del Giudice, rifiutata dalla lavoratrice.
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Licenziamento collettivo: vizi della proceduraCorte di Cassazione, sentenza 7 febbraio 2017, n. 3176La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3176 del 7 febbraio 2017, ribadisce che in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale la legge 23 luglio 1991, n. 223, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, con le modifiche introdotte dalla legge 92/2012, ha trasferito il controllo giurisdizionale dell’iniziativa imprenditoriale sul ridimensionamento dell’impresa, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo ex ante devoluto alle organizzazioni sindacali.
In altri termini, i residui spazi di controllo riservati al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione (ivi compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso). Ne consegue che non possono trovare ingresso, in sede giudiziaria, quelle censure con le quali si investe l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva. Ciò ove manchi la contestazione di specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e ove non sia fornita la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori.- ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Vietato il possesso abusivo di documenti riservati anche se non diffusiCorte di Cassazione, sentenza 13 febbraio 2017, n. 3739Con sentenza del 13 febbraio 2017 n. 3739 la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al licenziamento intimato ad un lavoratore a cui è stato contestato il possesso e l’abusiva acquisizione di appunti manoscritti concernenti informazioni confidenziali sulle materie prime, il costo, l’identità dei fornitori e dei clienti, le modalità di produzione e di trasporto di un prodotto.
Precisa la Corte che, sebbene l’art. 2105 c.c. richiami espressamente, oltre al divieto di concorrenza, solo il “divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa” o il “farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”, la non ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie delineate dal legislatore non è sufficiente a fare escludere la violazione dell’obbligo di fedeltà. Il contenuto di detto obbligo, infatti, è più ampio rispetto a quello risultante dal testo del richiamato art. 2105 c.c., integrandosi detta norma con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono al lavoratore di improntare la sua condotta al rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede.
Ne discende che il prestatore deve astenersi dal compiere non solo gli atti espressamente vietati ma anche quelli che, per la loro natura e per le possibili conseguenze, risultano in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella compagine aziendale, ivi compresa la “mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro, potenzialmente produttiva di danno”.
Ciò comporta che l’impossessamento di documenti aziendali di natura riservata implica violazione del dovere di fedeltà anche nella ipotesi in cui la divulgazione non avvenga, perché impedita dall’immediato intervento del datore di lavoro.- ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Mancata affissione del codice disciplinare e applicabilità della sanzioneCorte di Cassazione, sentenza 24 febbraio 2017, n. 4826Con sentenza n. 4826 del 24 febbraio 2017 la Corte di Cassazione ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’obbligo di affiggere il codice disciplinare prima di poter intimare un licenziamento.
Sul punto la Suprema Corte ha confermato l’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui la necessità della pubblicità non può riguardare un comune minimo etico e le fondamentali norme di ordine penale. In particolare, in materia di licenziamento disciplinare, il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto “minimo etico”. Deve essere data adeguata pubblicità al codice disciplinare, invece, con riferimento a comportamenti che violano mere prassi operative, non integranti usi normativi o negoziali.- ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Contestazione disciplinare: diritto al posticipo dell’audizioneCorte di Cassazione, sentenza 2 marzo 2017, n. 5314Con sentenza del 2 marzo 2017 n. 5314 la Corte di Cassazione si è pronunciata su una questione che involge l’esistenza di un diritto del lavoratore a vedersi posticipata l’audizione richiesta per esercitare il proprio diritto di difesa in relazione ad una contestazione disciplinare.
La Corte precisa che, ai sensi dell'articolo 7 della legge 300/1970 il lavoratore ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro. Tuttavia ove il datore, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore per una certa data, questi non ha diritto ad un differimento dell'incontro, ove si limiti ad addurre una impossibilità di presenziare. Ciò in quanto l'obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un'esigenza difensiva non altrimenti tutelabile.