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Infortunio
sul lavoro: responsabilità penale del datore di lavoro
Corte
di Cassazione penale, sentenza del 18 aprile 2017 n. 18779
Con la sentenza n. 18779 del 18 aprile 2017 la Corte di Cassazione
– sezione penale si è pronunciata in merito alla
possibilità di configurare una responsabilità del
datore
di lavoro per infortunio fondata sulla sola posizione di garanzia dallo
stesso ricoperta, cioè sulla base del solo fatto che lo
stesso,
quale datore di lavoro, gestiva il rischio connesso alla lavorazione
senza che fosse indicato quale fosse la condotta colpevole addebitabile
a quest’ultimo. Sul punto la Corte ha confermato un principio consolidato secondo cui, individuata una posizione di garanzia, non ne consegue automaticamente la responsabilità colposa del datore di lavoro; dovendosi di volta in volta individuare condotte soggettivamente rimproverabili.
Nel caso di specie si è esclusa la responsabilità del datore di lavoro in quanto era appurato e dimostrato che il macchinario che aveva cagionato il danno era dotato di dispositivo di sicurezza; il lavoratore infortunato era addetto al macchinario da diversi anni e – quindi – numerose volte aveva svolto l’operazione determinante l’infortunio; il dipendente non aveva mai segnalato al capo reparto l’inefficienza dei mezzi di sicurezza. Non era stata, inoltre, individuata la condotta colpevole datoriale.
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Sospensione cautelativa e decorrenza del licenziamentoCorte di Cassazione, sentenza del 21 marzo 2017 n. 7178Con la sentenza n. 7178 del 21 marzo 2017 la Corte di Cassazione si occupa degli effetti di una sospensione cautelativa del dipendente dal servizio sulla decorrenza di un licenziamento, con preavviso irrogato successivamente.
In caso di licenziamento con preavviso all’esito di un procedimento disciplinare preceduto da una sospensione cautelativa la sospensione dal servizio si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto. Di conseguenza è legittimo il recesso retroattivo alla data di inizio della sospensione con perdita del diritto alle retribuzioni dal momento della sospensione medesima.
Cessione di ramo d’azienda annullata: reintegra del dipendenteCorte di Cassazione, sentenza del 5 aprile 2017 n. 8821Con sentenza del 5 aprile 2017 n. 8821 la Corte di Cassazione si pronuncia in merito alla sussistenza della giusta causa di licenziamento in un caso specifico conseguente all’annullamento del contratto di cessione di ramo d’azienda.
La Corte di Cassazione ha precisato che dà luogo alla giusta causa di licenziamento la condotta del lavoratore che non si presenti sul posto di lavoro della cedente, dopo essere passato alla cessionaria, in presenza di una sentenza che dichiara l’annullamento del predetto contratto e dispone la prosecuzione dei rapporti di lavoro con la società cedente. Ciò nonostante vi sia un’intimazione della cedente a riprendere il servizio contenente un generico invito a riprendere le precedenti mansioni.
Nel caso di specie il lavoratore era ancora in servizio presso la cessionaria e, successivamente, era stato da questa collocato in CIGS a zero ore sicché, giustificatamente, aveva reperito un’altra attività che, peraltro, non era risultata in concorrenza con la cedente
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Trasfertisti: chiarimenti sulla nozioneCorte di Cassazione, ordinanza del 18 aprile 2017La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della questione relativa alla interpretazione dell’art. 51, c. 6, del TUIR, riguardante la nozione di lavoratore trasfertista, con relativi effetti sulle indennità a tale titolo corrisposte.
Invero la predetta norma, secondo cui le indennità spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare, è stata oggetto di una interpretazione autentica ad opera dell’art. 7-quinquies del d.l. n. 193 del 2016, conv., con modif., dalla l. n. 225 del 2016.
Tale norma, nel definire i requisiti per l’individuazione del “trasfertista”, precisa che devono sussistere contestualmente tre elementi: (I) la mancata indicazione nel contratto di una sede di lavoro; (II) lo svolgimento di una attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; (III) la corresponsione al dipendente di un’indennità in misura fissa, attribuite indipendentemente dall’effettiva trasferta.Tale interpretazione non è, però, in linea con gli orientamenti consolidatisi della Suprema Corte (oltre che con lettera della norma) secondo cui l’art. 51 comma 6 non richiede per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni in questione siano corrisposte in maniera fissa e continuativa. La norma, in altri termini, ritiene ininfluente ai fini della qualificazione della trasferta il carattere di continuativo dell’erogazione, ritenendo rilevante unicamente l’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, quindi al di fuori di una qualsiasi sede di lavoro prestabilita.- ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Licenziamento per GMO: repechage e requisiti di legittimitàCorte di Cassazione, sentenza del 19 aprile 2017 n. 9869Con la sentenza n. 9869 del 19 aprile 2017 la Corte di Cassazione accoglie l’impugnativa di licenziamento di un dipendente sull’assunto del mancato assolvimento all’onere della prova in materia di repechage da parte dell’azienda.
La Suprema Corte conferma che in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di "repechage" del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili. Il datore di lavoro, essendo il detentore delle scritture aziendali, può dimostrare la mancanza di possibilità di reimpiego del lavoratore in posizioni dal contenuto equivalente a quella soppressa in termini di professionalità acquisita.
In attuazione di tale principio non può essere ritenuta sufficiente di per sé sola, ai fini dell'integrale adempimento degli obblighi di repechage, la proposta di assegnazione del lavoratore a mansioni di livello professionale inferiore.
La sentenza risulta di particolare pregio anche per aver riepilogato alcuni fondamentali principi in materia di licenziamento per GMO. In particolare, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo:
- non richiede una ristrutturazione aziendale di ampia portata, essendo sufficiente che l'azienda proceda alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore. E’ sufficiente, ad esempio, la soppressione della funzione cui il licenziato era addetto, o la cd. esternalizzazione della sua attività a terzi, o la ripartizione delle mansioni di questi tra più dipendenti già in forze, o l'innovazione tecnologica che rende superfluo l'apporto del lavoratore. L’unico limite è costituito dal caso in cui avviene una mera sostituzione del dipendente licenziato con altro lavoratore assunto a minor costo, perché retribuito meno per lo svolgimento di identiche mansioni;
- è ravvisabile anche soltanto in una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, attuata a fini di una più economica ed efficiente gestione aziendale, nel senso che certe mansioni possono essere suddivise fra più lavoratori, ognuno dei quali se le vedrà aggiungere a quelle già espletate, con il risultato finale di far emergere come in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che vi era addetto in modo esclusivo o prevalente;
- non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere quelle prevalentemente esercitate in precedenza e quindi tali da connotare la posizione lavorativa del prestatore di lavoro. Si può ravvisare la possibilità di un utilizzo parziale del lavoratore nella medesima posizione lavorativa, se del caso ridotta con l'adozione del part-time, soltanto ove le mansioni diverse da quelle soppresse rivestano, nell'ambito del complesso dell'attività lavorativa svolta, una loro oggettiva autonomia.