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La Corte di Cassazione afferma che la previa contestazione dell’addebito, necessaria in funzione dei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità. Tale peculiarità risulta integrata quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c. e il relativo accertamento costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito.
La
Cassazione ha affermato che le attività vessatorie, che sforano
nel mobbing, commesse da un superiore gerarchico nei confronti di un
sottoposto, non liberano da responsabilità il datore di lavoro.
Nei confronti di quest’ultimo infatti incombono gli obblighi di
cui all'art. 2049 c.c., a meno che non venga dimostrato di aver
adottato tutte le misure necessarie ad eliminare il compimento delle
iniziative vessatorie.
Nella specie, la Corte ha sottolineato che, "la durata e le
modalità con cui è stata posta in essere la condotta
mobbizzante, quale risulta anche dalle prove testimoniali, sono tali da
far ritenere la sua conoscenza anche da parte del datore di lavoro, che
l'ha comunque tollerata".
A fronte di ciò se il datore di lavoro rimane inerte di fronte a
tale comportamento diventa colpevole, alla stregua del soggetto che ha
commesso materialmente gli atti vessatori, al fine del risarcimento dei
danni sul piano psico-fisico sopportati dal dipendente.
In
tema di licenziamento per giusta causa, la Corte di Cassazione ha
statuito la legittimità del provvedimento espulsivo nei
confronti del dipendente che rifiuta di trasferirsi presso la sede
distaccata dell’azienda, a nulla rilevando i cambiamenti di
mansioni assegnate ed il conseguente demansionamento. Il lavoratore non
può legittimamente rifiutarsi di adempiere l'obbligo di prendere
servizio presso il luogo del distacco e rendere la prestazione
lavorativa nei termini in cui questa gli viene richiesta, stante il
potere gerarchico del datore di lavoro, la sussistenza a suo carico
dell'obbligazione principale di pagamento della retribuzione e, per
contro, quella principale del lavoratore di rendere la prestazione
lavorativa, onde, a fronte di una ritenuta dequalificazione di
mansioni, il lavoratore stesso non può, in una sorta di
autotutela, rifiutarsi di rendere la propria prestazione;
cosicché il dipendente può agire in giudizio per far
valere il proprio diritto, ma non può rifiutarsi di eseguire la
prestazione richiestagli.
In
materia di infortunio sul lavoro, la Corte di Cassazione ha chiarito
che, in caso di incidente occorso nello svolgimento
dell’attività del prestatore, spetta all’azienda il
risarcimento del danno biologico e dell’inabilità
temporanea.
Nello specifico la Suprema Corte, con la Sentenza in commento, ha
precisato che l’imprudenza del lavoratore non esclude la
responsabilità in concorso del datore di lavoro, il quale
risulta obbligato sempre e comunque al controllo, tramite proprio
personale, del rispetto delle misure in materia di salute e sicurezza
sul lavoro.