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Abuso di internet e legittimità del licenziamento
Corte di
Cassazione, sentenza 15 giugno 2017 n. 14862
Con sentenza n. 14862 del 15 giugno 2017, la Corte di Cassazione si
è pronunciata in merito alla legittimità di un
licenziamento disciplinare per giusta causa intimato ad un dipendente
per aver abusato della connessione internet del PC assegnatogli in
dotazione. La Corte ha confermato la legittimità del
licenziamento, pur precisando che la condotta è ascrivibile alla
sanzione meno grave del licenziamento per giustificato motivo
soggettivo. Ai fini della legittimità del licenziamento non è necessario che il lavoratore conosca le disposizioni sull'utilizzo degli apparati mobili aziendali, in quanto l’illiceità della condotta non poteva non essere nota. Peraltro secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l'onere di pubblicità del codice disciplinare, previsto dall'art. 7, della legge n. 300 del 1970, non sussiste se il datore di lavoro contesta un comportamento che integra una violazione di una norma penale, o sia contrario all'etica comune, o concreti un grave o comunque notevole inadempimento dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali sono gli obblighi di diligenza e di fedeltà. Non è richiesto, inoltre, neppure il rispetto del divieto di controlli a distanza previsto dall’art. 4 L. n. 300 del 1970, trattandosi di un controllo finalizzato a tutelare il patrimonio aziendale sotto il profilo della sua integrità, del suo regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti. Non è stata ritenuta violata, infine, la normativa in materia di privacy, non avendo l’azienda trattato dati personali del lavoratore.
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Assunzione di sostanze stupefacenti ed illegittimità del licenziamentoTribunale di Milano, ordinanza 13 giugno 2017, n. 15954Con ordinanza n. 15954 del 13 giugno 2017, il Tribunale di Milano si è pronunciato su un caso di licenziamento per uso di sostanze stupefacenti prima dell’inizio del lavoro intimato ad un autista.
Il recesso è stato ritenuto dal Tribunale illegittimo, non risultando contestato al lavoratore uno stato di alterazione psicofisica durante lo svolgimento delle mansioni di conducente. Non emergeva, inoltre, un significativo incremento della pericolosità per la pubblica incolumità della prestazione resa.
È stato precisato, infatti, che non può ritenersi disciplinarmente rilevante il mero rilievo della pregressa assunzione di sostanze psicotrope, sia pure riferito a lavoratore adibito a mansioni a rischio, in assenza di dimostrazione dell'esistenza di una concreta alterazione psicofisica che generi un rischio per l'incolumità, propria o altrui, in relazione alla tipologia delle mansioni assegnate.
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Patto di stabilità e relativa remunerazioneCorte di Cassazione, sentenza 9 giugno 2017, n. 14457Con sentenza n. 14457 del 9 giugno 2017, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito all’obbligo di riconoscere un corrispettivo per il patto che limiti, per un tempo determinato, la libertà di recesso del lavoratore (cd. patto di stabilità o clausola di durata minima garantita nell'interesse del datore di lavoro).
Preliminarmente la Corte di Cassazione ha confermato (fuori dalle ipotesi di giusta causa) il diritto del dipendente alla libera recedibilità dal rapporto di lavoro e la possibilità di disporre di tale diritto pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto.
Tuttavia tale limitazione deve essere circoscritta nel tempo e comportare un risarcimento del danno in favore del datore di lavoro nella ipotesi di mancato rispetto del periodo minimo di durata.
Dopo aver chiarito e confermato la legittimità di una clausola di durata minima, la sentenza, con riferimento all’obbligo di riconoscere un corrispettivo a fronte del patto in esame, ne ha confermato la necessità, con la precisazione, però, che la corrispettività deve essere valutata rispetto al complesso dei diritti e degli obblighi che identificano la posizione contrattuale di ciascuna parte.
Pertanto, nell'equilibrio delle posizioni contrattuali il corrispettivo della clausola di durata minima garantita nell'interesse del datore di lavoro, è necessario ma può essere liberamente stabilito dalle parti e può consistere nella reciprocità dell'impegno di stabilità assunto dalle parti, o in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, consistente in una maggiorazione della retribuzione o in una obbligazione non-monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore.
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Premio aziendale e usi aziendali: condizioni per la revocaTribunale di Udine, sentenza 22 marzo 2017, n. 102Il Tribunale di Udine, con sentenza del 22 marzo 2017 n. 102, ripercorrendo i principi espressi dalla Corte di Cassazione in materia di “uso aziendale”, ne conferma il carattere vincolante nell’ambito della gerarchia delle fonti che disciplinano il rapporto di lavoro.
In particolare è stato confermato che si configura un “uso aziendale” in presenza di requisiti quali: il riconoscimento spontaneo ai dipendenti di un trattamento migliorativo rispetto a quello previsto dal CCNL; l’erogazione dell’emolumento nei confronti di tutti i dipendenti dell'azienda alle stesse condizioni; il protrarsi nel tempo di tale pagamento.
Ciò premesso, la sentenza precisa che, una volta formatosi, l’uso aziendale agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Ne consegue che una revoca del trattamento stesso dovrà essere concordata con un accordo collettivo di pari livello.
Nel caso di specie, fin dalla data di assunzione, veniva riconosciuto a tutti i dipendenti un premio individuale. Tale premio nel corso degli anni non era mai stato intaccato in occasione del succedersi dei rinnovi contrattuali, mentre dal 2012 in poi non era stato più erogato per iniziativa unilaterale della datrice di lavoro.- ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Licenziamento del dirigente: obbligatorio seguire il procedimento disciplinareCorte di Cassazione, sentenza 20 Giugno 2017 n. 15204La Corte di Cassazione, con sentenza del 20 giugno 2017 n. 15204, si è pronunciata, in linea con un ormai costante orientamento giurisprudenziale, sull’obbligo di rispettare le previsioni dello Statuto dei Lavoratori in caso di intimazione di un licenziamento disciplinare al dirigente.
Sul tema la Corte ha confermato che, anche ai dirigenti, vanno riservate le garanzie procedimentali previste dall’art. 7 della L. 300/1970. Tale norma esprime, infatti, un principio di generale garanzia fondamentale che non può non trovare applicazione anche nell'ipotesi di licenziamento di un dirigente, a prescindere dalla sua specifica collocazione nell'impresa. Ciò, ovviamente, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro gli addebiti un comportamento negligente, o colpevole in senso lato, o se, a base del recesso, siano poste condotte comunque suscettibili di pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti.
Dalla violazione di dette garanzie, deriva l'applicazione delle sanzioni previste dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione.- ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Licenziamento dell’apprendista: risarcimento previsto per i tempi indeterminatiCorte di Cassazione, sentenza 13 luglio 2017, n. 17373La Corte di Cassazione, con sentenza del 13 luglio 2017, n. 17373, si è pronunciata in merito alla sanzione applicabile in ipotesi di licenziamento illegittimo di un apprendista durante il periodo formativo.
Nella sentenza la Corte di Cassazione ha confermato che il contratto di apprendistato genera un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e che questo principio è applicabile anche a quei contratti di apprendistato disciplinati dalla normativa previgente all’entrata in vigore del testo unico sull’apprendistato (D.lg. 167/2011) e del c.d. Jobs act (L. 81/2015).
Ne consegue la inapplicabilità al contratto di apprendistato, in caso di licenziamento intervenuto in pendenza del periodo di formazione, della disciplina relativa al licenziamento ante tempus nel rapporto di lavoro a termine che comporta un risarcimento del danno pari alle retribuzioni non percepite dalla data del licenziamento fino alla scadenza del termine.