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In materia di licenziamento per
giusta causa, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17538 del
1° agosto 2014, ha statuito la legittimità del provvedimento
espulsivo nei confronti del lavoratore che, superato il periodo di
comporto per una lunga malattia, richiede informalmente le ferie, senza
fornire alcuna prova documentale della richiesta.
Secondo la Suprema Corte è fatto obbligo al dipendente, assente
per malattia e impossibilitato a riprendere servizio e che intenda
evitare la perdita del posto per il superamento del limite, di
presentare la richiesta di fruizione delle ferie, affinché il
datore di lavoro gli conceda la possibilità di usufruirne
durante la malattia, valutando il fondamentale interesse al
mantenimento del posto di lavoro. La necessità di una specifica
domanda di fruizione non viene meno per le condizioni di confusione
mentale del lavoratore dettate dalla malattia.
In particolare, la Suprema Corte, nel ricordare che il patto di prova deve comunque assumere forma scritta, indicando in maniera specifica le mansioni che ne costituiscono l’oggetto, ha sentenziato che in alcuni casi, come nell’ipotesi di specie di lavoro intellettuale, è sufficiente che le stesse siano determinabili, in base alla forma adoperata nel documento contrattuale.
La suprema corte prosegue affermando che l’indicazione delle mansioni oggetto del patto di prova, può essere operata anche “per relationem” alle declaratorie del contratto collettivo che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione e sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico.
Il dirigente che viene assegnato a mansioni inferiori si può
dimettere per giusta causa e, di conseguenza, ha diritto al pagamento
dell'indennità sostitutiva del preavviso.
La vicenda portata all’attenzione della suprema Corte riguarda le
dimissioni di un dirigente che lamentava di essere stato demansionato
in quanto assegnato a compiti diversi da quelli per i quali era stato
assunto. Alcuni mesi dopo l'affidamento di questo ruolo, il dirigente
aveva rassegnato le proprie dimissioni, sostenendo che le stesse erano
sorrette da giusta causa e, di conseguenza, chiedendo il pagamento
dell'indennità sostitutiva del preavviso.
La Suprema Corte conferma le decisioni prese nel corso del Giudizio di
merito (effettività del demansionamento e sussistenza della
giusta causa), osservando innanzitutto che il dirigente ha subito un
danno per lo spostamento dalla mansione iniziale ad una di contenuto
più ristretto.
Inoltre, secondo la sentenza, la sussistenza del demansionamento non
viene messa in discussione dal fatto che l'assegnazione alle diverse
mansioni avesse una durata temporanea.
Per la Cassazione ai fini della sussistenza della giusta causa per le
dimissioni va considerata anche la durata dell'assegnazione, che nel
caso di specie erano di cinque mesi a partire dall'assunzione; tale
periodo costituisce un indice di un palese inadempimento contrattuale
da parte del datore di lavoro.
La suprema Corte ha
stabilito che la rinuncia alla reintegrazione sul posto di lavoro
(conseguente a licenziamento illegittimo) in favore del pagamento
dell'indennità sostitutiva di 15 mensilità produce
gli effetti della risoluzione del rapporto di lavoro senza che il
lavoratore abbia diritto per il periodo successivo ad alcuna ulteriore
maturazione di retribuzione anche nel caso in cui vi sia inadempimento
o ritardato pagamento dell’indennità dovuta al lavoratore
da parte del datore di lavoro.
La vicenda, come accennato, ruota intorno al meccanismo, previsto
dall'articolo 18 (vecchio e nuovo) dello Statuto, che consente al
lavoratore che ha ottenuto una sentenza di reintegrazione sul posto di
lavoro, di optare per una soluzione diversa dal rientro in servizio: il
pagamento di una somma (che si aggiunge al risarcimento del danno) di
importo pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto.
Il problema sul quale si è creato il lungo e, fino ad oggi,
irrisolto contrasto giurisprudenziale riguarda l'esatta individuazione
del momento in cui la scelta del lavoratore determina la risoluzione
del rapporto.
Le Sezioni Unite con la sentenza in commento hanno indicato quale deve
essere l'interpretazione della norma in questione. Secondo la sentenza,
il rapporto di lavoro si estingue nel momento in cui il datore di
lavoro riceve la dichiarazione del lavoratore che sceglie
l'indennità sostitutiva; nel periodo che passa tra l'opzione e
il pagamento effettivo il ritardato adempimento viene regolato dalle
norme sui crediti pecuniari del lavoratore (interessi legali e
rivalutazione monetaria).