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GiurisprudenzaScarica PDF
Licenziamento per superamento del limite di comporto 
Cassazione n. 17538 del 1° agosto 2014

In materia di licenziamento per giusta causa, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17538 del 1° agosto 2014, ha statuito la legittimità del provvedimento espulsivo nei confronti del lavoratore che, superato il periodo di comporto per una lunga malattia, richiede informalmente le ferie, senza fornire alcuna prova documentale della richiesta.
Secondo la Suprema Corte è fatto obbligo al dipendente, assente per malattia e impossibilitato a riprendere servizio e che intenda evitare la perdita del posto per il superamento del limite, di presentare la richiesta di fruizione delle ferie, affinché il datore di lavoro gli conceda la possibilità di usufruirne durante la malattia, valutando il fondamentale interesse al mantenimento del posto di lavoro. La necessità di una specifica domanda di fruizione non viene meno per le condizioni di confusione mentale del lavoratore dettate dalla malattia.

Periodo di prova: criteri per il mancato superamento
Cassazione n. 17591 del 4 agosto 2014
Con la Sentenza n. 17591 del 4 agosto 2014 la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione interviene in merito al mancato superamento del periodo di prova, impugnato dal lavoratore che contesta la poca chiarezza delle mansioni contenute nell’accordo sottoscritto all’atto dell’assunzione.
In particolare, la Suprema Corte, nel ricordare che il patto di prova deve comunque assumere forma scritta, indicando in maniera specifica le mansioni che ne costituiscono l’oggetto, ha sentenziato che in alcuni casi, come nell’ipotesi di specie di lavoro intellettuale, è sufficiente che le stesse siano determinabili, in base alla forma adoperata nel documento contrattuale.
La suprema corte prosegue affermando che l’indicazione delle mansioni oggetto del patto di prova, può essere operata anche “per relationem” alle declaratorie del contratto collettivo che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione e sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico.
Indennità sostitutiva per il dirigente demansionato
Cassazione n. 18121 del  21 agosto 2014

Il dirigente che viene assegnato a mansioni inferiori si può dimettere per giusta causa e, di conseguenza, ha diritto al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso.
La vicenda portata all’attenzione della suprema Corte riguarda le dimissioni di un dirigente che lamentava di essere stato demansionato in quanto assegnato a compiti diversi da quelli per i quali era stato assunto. Alcuni mesi dopo l'affidamento di questo ruolo, il dirigente aveva rassegnato le proprie dimissioni, sostenendo che le stesse erano sorrette da giusta causa e, di conseguenza, chiedendo il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso.
La Suprema Corte conferma le decisioni prese nel corso del Giudizio di merito (effettività del demansionamento e sussistenza della giusta causa), osservando innanzitutto che il dirigente ha subito un danno per lo spostamento dalla mansione iniziale ad una di contenuto più ristretto.
Inoltre, secondo la sentenza, la sussistenza del demansionamento non viene messa in discussione dal fatto che l'assegnazione alle diverse mansioni avesse una durata temporanea.
Per la Cassazione ai fini della sussistenza della giusta causa per le dimissioni va considerata anche la durata dell'assegnazione, che nel caso di specie erano di cinque mesi a partire dall'assunzione; tale periodo costituisce un indice di un palese inadempimento contrattuale da parte del datore di lavoro.

Licenziamento: indennità in luogo della reintegra, ritardato pagamento con mora
Cassazione n. 18353 del 27 agosto 2014

La suprema Corte ha stabilito che la rinuncia alla reintegrazione sul posto di lavoro (conseguente a licenziamento illegittimo) in favore del pagamento dell'indennità sostitutiva di 15 mensilità  produce gli effetti della risoluzione del rapporto di lavoro senza che il lavoratore abbia diritto per il periodo successivo ad alcuna ulteriore maturazione di retribuzione anche nel caso in cui vi sia inadempimento o ritardato pagamento dell’indennità dovuta al lavoratore da parte del datore di lavoro.
La vicenda, come accennato, ruota intorno al meccanismo, previsto dall'articolo 18 (vecchio e nuovo) dello Statuto, che consente al lavoratore che ha ottenuto una sentenza di reintegrazione sul posto di lavoro, di optare per una soluzione diversa dal rientro in servizio: il pagamento di una somma (che si aggiunge al risarcimento del danno) di importo pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto. Il problema sul quale si è creato il lungo e, fino ad oggi, irrisolto contrasto giurisprudenziale riguarda l'esatta individuazione del momento in cui la scelta del lavoratore determina la risoluzione del rapporto. 
Le Sezioni Unite con la sentenza in commento hanno indicato quale deve essere l'interpretazione della norma in questione. Secondo la sentenza, il rapporto di lavoro si estingue nel momento in cui il datore di lavoro riceve la dichiarazione del lavoratore che sceglie l'indennità sostitutiva; nel periodo che passa tra l'opzione e il pagamento effettivo il ritardato adempimento viene regolato dalle norme sui crediti pecuniari del lavoratore (interessi legali e rivalutazione monetaria).