GiurisprudenzaScarica
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Badge Elettronico e divieto di controlli a distanza
Corte di
Cassazione, sentenza 14 luglio 2017 n. 17531
Con sentenza n. 17531 del 14 luglio 2017 la Corte di Cassazione si
è pronunciata in merito alla legittimità dei controlli
effettuati tramite il meccanismo del badge (a radio frequenza), che
legge le informazioni contenute nella tessera dei dipendenti.La Corte di Cassazione ha precisato, in primo luogo, che il controllo degli orari di ingresso e di uscita dei lavoratori non costituisce un controllo a distanza dell’attività di costoro, se diretto a verificare la circostanza fondamentale della loro presenza o assenza dall’ufficio o luogo di lavoro.
Tuttavia, se l’apparecchiatura è utilizzabile con la funzione di controllo dell’osservanza dei doveri di diligenza, si configura un controllo sull’orario di lavoro e un accertamento sul quantum della prestazione, rientrante nei c.d. controlli a distanza e per la cui legittimità è richiesto un accordo con le rappresentanze sindacali, o l’autorizzazione dall’ispettorato del lavoro.
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Obbligo contributivo anche in assenza di prestazioneCorte di Cassazione, sentenza 7 agosto 2017 n. 19662Con sentenza n. 19662 del 7 agosto 2017, la Corte di Cassazione ha affermato che se la sospensione dell’attività deriva da una libera scelta del datore di lavoro e costituisce il risultato di un accordo tra le parti, continua a permanere intatto l’obbligo contributivo.
Con particolare riferimento al settore dell’edilizia, rammenta che in tema di contribuzione dovuta dai datori di lavoro, l'art. 29 del D.L. n. 244 del 1995, nel determinare la misura dell'obbligo contributivo previdenziale ed assistenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all'orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, prevede l'esclusione dall'obbligo contributivo di una varietà di assenze, tassativamente indicate, al di là delle quali non è possibile prevedere un esonero contributivo.
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Mansioni promiscue: limiti di assegnazioneCorte di Cassazione, ordinanza 8 agosto 2017 n. 19725Con ordinanza n. 19725 dell’8 agosto 2017 la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla possibilità di richiedere il riconoscimento di qualifica superiore conseguente a svolgimento delle mansioni superiori su posizioni lavorative prive di titolare in aggiunta a quelle di propria competenza. Sul punto la Corte ha evidenziato che, nel caso di adibizione di lavoratori per oggettive esigenze aziendali a mansioni diverse unitamente a quelle di propria competenza, per la sussistenza della frequenza e sistematicità di reiterate assegnazione di un lavoratore allo svolgimento di mansioni superiori il cui cumulo sia utile all'acquisizione del diritto alla promozione automatica ex art. 2103 cod. civ., non è sufficiente la mera ripetizione delle mansioni. È, invece, necessario, se non un vero e proprio intento fraudolento da parte del datore di lavoro, una programmazione iniziale della molteplicità di incarichi ed una predeterminazione utilitaristica di siffatto comportamento. Inoltre, se la contrattazione collettiva non prevede una regola specifica per l'individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, l'indagine va condotta non sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purché non espletata in via sporadica od occasionale.
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Dirigenti: accordo di risoluzione consensuale e vizi della volontàCorte di Cassazione, sentenza 10 agosto 2017 n. 19974Con sentenza n. 19974 del 10 agosto 2017 la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito all’annullabilità di un accordo di risoluzione consensuale sottoscritto con un dirigente per essere stato costretto a firmare dietro minaccia di licenziamento (c.d. violenza morale).
La Suprema Corte, nell’escludere la possibilità di annullare l’accordo, ha ribadito i principi giurisprudenziali in materia secondo cui in tema di annullamento dell'atto di dimissioni del lavoratore, la minaccia del licenziamento per giusta causa si configura come prospettazione di un male ingiusto di per sé solo se si accerta l'inesistenza del diritto del datore di lavoro al licenziamento, per l'insussistenza dell'inadempienza addebitata al dipendente. Tale elemento di regola manca nell'ipotesi di licenziamento di una qualifica dirigenziale, per cui il cui rapporto è assoggettato al regime di libera recedibilità.