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GiurisprudenzaScarica PDF
Limiti temporali per l’impugnabilità del licenziamento
Cassazione n. 20068 del 7 ottobre 2015

La Corte di Cassazione ha affermato che l’impugnazione del licenziamento costituisce una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell’atto di impugnativa vero e proprio; la norma non prevede, infatti, la perdita di efficacia di un’impugnazione già perfezionatasi (dunque già pervenuta al destinatario) per effetto della successiva intempestiva attivazione dell’impugnate in sede contenziosa, ma impone un doppio termine di decadenza affinché l’impugnazione stessa sia in sé efficace; la locuzione “l’impugnazione è inefficace se …” sta infatti ad indicare che, indipendentemente dal suo perfezionamento (e quindi dai tempi in cui lo stesso si realizza con la ricezione dell’atto da parte del destinatario), il lavoratore deve attivarsi, nel termine indicato, per promuovere il giudizio. Il primo termine si avrà per rispettato ove l’impugnazione sia trasmessa entro 60 giorni dalla ricezione degli atti indicati da parte del lavoratore il quale quindi, da tale momento, avendo assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore, sempre imposta a pena di decadenza, di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato.
In sostanza, dunque, l’impugnazione, per essere in se efficace e poter quindi raggiungere il proprio scopo tipico (ferma ovviamente la sua ricezione da parte del datore di lavoro), richiede il rispetto di un doppio termine di decadenza, che è interamente rimesso al controllo dello stesso impugnante. Tale soluzione, non lede in alcun modo il diritto di difesa del lavoratore che, anzi, è perfettamente in grado di sapere quale sia il dies a quo per l’instaurazione della fase giudiziaria. In definitiva, il principio di diritto: “il termine di decadenza di cui al secondo comma dell’art. 6 della legge 604/1966, come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 38, della legge n. 92/2012, decorre dalla trasmissione dell’atto scritto di impugnazione del licenziamento di cui al primo comma e non dalla data di perfezionamento dell’impugnazione per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro”.

Licenziamento adottato da impresa cessionaria per fatto accaduto presso l’impresa cedente  
Cassazione n. 20319 del 9 ottobre 2015

Con la sentenza in commento la Cassazione, riformando la decisione della Corte di Appello, ha affermato che l’impresa cessionaria, in caso di passaggio d’azienda, subentra “in toto” alla impresa cedente. Di conseguenza è legittimata a risolvere il rapporto di lavoro con un dipendente per il quale è arrivata la sentenza definitiva di condanna penale per fatti disciplinarmente rilevanti compiuti mentre era alle dipendenze del precedente datore di lavoro.

Licenziamento del lavoratore mediante controllo del suo operato fuori dei locali aziendali 
Cassazione n. 20440 del 12 ottobre 2015

Secondo la Corte di Cassazione è pienamente legittimo il licenziamento del dipendente che, svolgendo la propria attività lavorativa al di fuori dei locali aziendali, viene sorpreso dal datore di lavoro, mediante l’uso di uno strumento di localizzazione (Gps), ad intrattenersi al bar in orario di servizio. La Suprema Corte, con la Sentenza n. 20440 del 12 ottobre 2015, ha statuito la validità del recesso, in quanto non sussiste il divieto di utilizzo dei cosiddetti controlli difensivi, finalizzati ad accertare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale prestazione lavorativa nonché illeciti, soprattutto nell’ipotesi di lavoro da eseguirsi al di fuori dei locali aziendali.




Maggiorazione per lavoro notturno e lavoratore a tempo parziale
Cassazione n. 20843 del 15 ottobre 2015

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha affermato come il lavoratore a tempo parziale che svolge attività di lavoro notturno e/o lavoro notturno festivo abbia diritto ad una maggiorazione della retribuzione, per le ore di lavoro svolte con tale modalità, pari a quella percepita, per le medesime attività, dal lavoratore a tempo pieno comparabile.
I giudici della Suprema Corte hanno asserito come vada applicato il principio di non discriminazione, previsto dall’articolo 4 del D.L.vo n. 61/2000, anche a quei lavoratori a tempo parziale i quali non devono ricevere un trattamento meno favorevole rispetto a quelli a tempo pieno comparabili e quindi, a parità di livello, il lavoratore a tempo parziale ha diritto a ricevere la stessa maggiorazione corrisposta al lavoratore a tempo pieno.