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Giurisprudenza
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Indennità di preavviso per la lavoratrice madre dimissionaria
Cassazione n. 4919 del 3 marzo 2014
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4919 del 3 marzo 2014, riconosce l’indennità di preavviso
alla lavoratrice madre dimissionaria anche nel caso di nuova occupazione.
La scelta di recedere dal rapporto di lavoro a fronte di una nuova occupazione può essere infatti giustificata da condizioni più idonee alle esigenze familiari della lavoratrice.
Non sussiste in capo alla lavoratrice l’onere di provare che la nuova occupazione ha comportato delle conseguenze patrimoniali negative.
Pertanto la lavoratrice madre dimissionaria all’interno del periodo protetto avrà sempre diritto al riconoscimento dell’indennità di preavviso.
La scelta di recedere dal rapporto di lavoro a fronte di una nuova occupazione può essere infatti giustificata da condizioni più idonee alle esigenze familiari della lavoratrice.
Non sussiste in capo alla lavoratrice l’onere di provare che la nuova occupazione ha comportato delle conseguenze patrimoniali negative.
Pertanto la lavoratrice madre dimissionaria all’interno del periodo protetto avrà sempre diritto al riconoscimento dell’indennità di preavviso.
Permessi ex 104 e licenziamento
Cassazione n. 4984 del 4 marzo 2014
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 4984 del 4 marzo 2014, ritiene legittimo il licenziamento
del dipendente che utilizza in maniera fraudolenta i permessi previsti dall’articolo 33 della
Legge n. 104/92. Chi effettua delle vacanze anziché assistere il familiare può essere legittimamente
licenziato dal datore di lavoro. A nulla rileva che la prova è fornita da un’agenzia investigativa
incaricata dall’azienda. Tale condotta rientra negli atti illeciti del lavoratore non riconducibili
al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale. L’utilizzo improprio dei permessi
ex articolo 33 della Legge n. 104/92 si svolge infatti al di fuori della prestazione lavorativa che è
sospesa e quindi non operano i limiti dello Statuto dei lavoratori.
Il materiale spedito al difensore non giustifica il licenziamento
Cassazione n. 5179 del 5 marzo 2014
Non può essere licenziato il lavoratore che invia al suo difensore dei file contenenti notizie
sull’azienda.Secondo la Corte la trasmissione degli atti aziendali ad un difensore e la loro divulgazione
sono condotte radicalmente diverse tra di loro. Il comportamento posto in essere dal dipendente infatti
si è realizzato attraverso la trasmissione al proprio legale, tenuto altresì al segreto professionale,
di notizie in vista di una possibile controversia giudiziaria, indipendentemente dal concretizzarsi
del contenzioso e non attraverso la divulgazione delle medesime notizie a soggetti terzi.I file trasmessi
al difensore sono destinati a rimanere in un ambito prestabilito di conoscenza limitato ad eventuali
attività difensive del lavoratore, il cui comportamento non può dunque costituire un fatto grave
da essere sanzionato con il licenziamento. Da aggiungersi che il datore di lavoro non ha saputo
provare la natura riservata del contenuto degli stessi file e, pertanto, non è stato possibile valutare
correttamente la portata dell’inadempimento del lavoratore.
Lavoratrice in maternità ed esclusione dal corso di formazione
Corte di Giustizia sentenza del 6 marzo 2014 (C-595/12)
Viola il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento, la legge italiana che, per motivi
di interesse pubblico, esclude una donna in maternità obbligatoria da un corso di formazione relativo
al suo impiego e obbligatorio per la nomina definitiva in ruolo e per condizioni d’impiego migliori,
anche se le garantisce la partecipazione a un corso successivo che però non si sa quando si farà.
Questo è ciò che ha affermato la Corte di Giustizia richiesta di esaminare la questione alla luce dell’interpretazione della Direttiva 2006/54 sulla parità di trattamento fra uomini e donne.
A tal proposito la Corte ricorda che l’art. 14 della Direttiva vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico e privato per quanto attiene all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento, la retribuzione e la formazione.
La stessa Direttiva stabilisce che alla fine del periodo di maternità la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli e a godere di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza. Pertanto alla luce di tale normativa secondo al Corte non può ritenersi legittima un’applicazione del congedo di maternità che produce un’incidenza negativa sulle condizioni di lavoro di una lavoratrice.Nello specifico per i giudici europei l’esclusione dal corso di formazione ha queste caratteristiche in quanto il conseguente divieto di partecipare all’esame conclusivo ha comportato per la lavoratrice la perdita dell’opportunità di beneficiari, al pari dei suoi colleghi, di migliori condizioni di lavoro.
Questo è ciò che ha affermato la Corte di Giustizia richiesta di esaminare la questione alla luce dell’interpretazione della Direttiva 2006/54 sulla parità di trattamento fra uomini e donne.
A tal proposito la Corte ricorda che l’art. 14 della Direttiva vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico e privato per quanto attiene all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento, la retribuzione e la formazione.
La stessa Direttiva stabilisce che alla fine del periodo di maternità la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli e a godere di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza. Pertanto alla luce di tale normativa secondo al Corte non può ritenersi legittima un’applicazione del congedo di maternità che produce un’incidenza negativa sulle condizioni di lavoro di una lavoratrice.Nello specifico per i giudici europei l’esclusione dal corso di formazione ha queste caratteristiche in quanto il conseguente divieto di partecipare all’esame conclusivo ha comportato per la lavoratrice la perdita dell’opportunità di beneficiari, al pari dei suoi colleghi, di migliori condizioni di lavoro.
Licenziamento disciplinare: sanzione sproporzionata in caso di uso privato del computer aziendale
Cassazione n. 6222 del 18 marzo 2014
La Cassazione ha affermato che l'uso, anche quotidiano, della e-mail aziendale per ragioni private,
così come l'installazione sul pc di programmi non inerenti all'attività lavorativa, non costituiscono
violazioni sufficienti ad autorizzare il licenziamento del dipendente.
Il fatto contestato corrispondeva tra l’altro alla fattispecie disciplinare prevista dal Contratto collettivo applicabile ove era espressamente prevista una sanzione di tipo conservativo (ammonizione scritta, multa o sospensione), per l’infrazione consistente nell’utilizzazione “in modo improprio di strumenti aziendali”. Pertanto secondo la suprema Corte il datore di lavoro non può irrogare una sanzione più grave (il licenziamento) rispetto a quella prevista dal CCNL applicabile.
Il fatto contestato corrispondeva tra l’altro alla fattispecie disciplinare prevista dal Contratto collettivo applicabile ove era espressamente prevista una sanzione di tipo conservativo (ammonizione scritta, multa o sospensione), per l’infrazione consistente nell’utilizzazione “in modo improprio di strumenti aziendali”. Pertanto secondo la suprema Corte il datore di lavoro non può irrogare una sanzione più grave (il licenziamento) rispetto a quella prevista dal CCNL applicabile.